Archivio per luglio 2018

29
Lug
18

Il giornalismo non sia al servizio dell’odio e della propaganda

Per un giornalismo indipendente e nonviolento

 

Propaganda, odio e costruzionismi connotano parte dell’informazione italiana verso la quale i giornalisti hanno precise responsabilità.
Se nella propaganda invece che ai fatti e ai dati si dà spazio alle percezioni nell’informazione “nonviolenta” la/il giornalista tenta di ristabilire la verità degli accadimenti attraverso contestualizzazioni e interpretazioni intellettualmente oneste.
Alla fabbrica della paura la/il giornalista op(pro)pone l’oggettività di metodologie che implichino, restituiscano e permettano la misurabilità e verificabilità dei fatti e dei dati da parte di tutti così da promuovere un empowerment in progress di chi legge.

A garanzia di un consumo critico dell’informazione.

Per un’informazione che non manipoli il suo destinatario – la lettrice, il lettore – per interessi particolari, per propaganda politica, per secondi fini, per affiliare pubblico, per ottenere consenso.
Un’informazione che non sia distrazione e dis-informazione di massa. Senza generalizzazioni, semplificazioni e facili conclusioni.
Informazione come disciplina e autodisciplina.
Ai costruzionismi e alla propaganda la/il giornalista oppone il dire, gandhianamente, la verità.
Dire la verità non lascia spazi alla strumentalizzazione.

Da prospettiva a matrice e a impatto nonviolenti, la metodologia di lotta per un’informazione di verità non può che essere, ancora e sempre, anche nel giornalismo, quella del satyagraha.
Satya significa “verità” e agraha “insistenza, forza”.
Come ricorda Giuliano Pontara satyagraha corrisponde all’INSISTENZA nella e per la verità ed (è) la forza che proviene da essa.

Per una ricerca collettiva e cooperativa della verità.

In un’informazione in cui i mezzi e i fini coincidono e sono interconnessi, una notizia o un fatto giornalisticamente riportati non potranno che essere, contemporaneamente e ontologicamente, il prodotto, lo stile e il contenuto (comprensivi della scelta delle parole “per dirlo”) della narrazione.

La Nonviolenza al giornalismo di guerra op(pro)pone il giornalismo di pace, al giornalismo delle notizie false (fake news) op(pro)pone il giornalismo di verità.

 

Con resilienza e indipendenza intellettuale nella mente, nel cuore, nella penna e nella macchina fotografica.

 

The decisive moment.

Non di Cartier-Bressoniana memoria, ma per agire una rivoluzione nonviolenta.

 

Per non tradire nessuna parte in gioco – il fatto, la narrazione, il lettore, la Verità – l’appello di GCR potrebbe essere inteso ed agito come il rappel di Lanza del Vasto: un richiamo, un ritorno all’essenziale.

 

Per essere presenti al presente.

 

Silvia Berruto, amica e persuasa della Nonviolenza, giornalista contro il razzismo

 

 

L’Appello di Giornalisti contro il razzismo (GCR)
Il giornalismo non sia al servizio dell’odio e della propaganda

Campagna: Il giornalismo non sia al servizio dell’odio e della propaganda
Promossa da: Giornalisti contro il razzismo

A nessuno dev’essere permesso di ingannare e tradire l’opinione pubblica e la vita democratica.

 

Dieci anni fa  abbiamo lanciato un appello – “I media rispettino il popolo Rom” – e una proposta di autodisciplina del linguaggio – “Mettiamo al bando la parola clandestino” – con il proposito di contribuire a una discussione aperta sul modo di fare informazione in un periodo di campagne politiche sulla sicurezza spesso condotte sul filo dell’emotività e della paura. Da allora molte cose sono cambiate, alcune anche in meglio, ma stanno emergendo nuovi motivi di forte preoccupazione.

Negli ultimi mesi di cronache politiche abbiamo assistito a un’allarmante accelerazione di un processo che da anni indebolisce il diritto dei cittadini a un’informazione onesta, approfondita e indipendente, che serva a migliorare la vita dei cittadini e non a generare paure, odio e tensioni sociali.

In particolare, si registra una diffusa tendenza giornalistica – anche nella stampa cosiddetta indipendente – a riportare acriticamente affermazioni di esponenti politici palesemente menzognere e fuorvianti. Espressioni che utilizzano un lessico costantemente sopra le righe – quando non propriamente rabbioso, violento e istigatore di violenza – per propagandare uno specifico punto di vista e per continuare a rimettere in cima alle priorità italiane una sola questione: lo stigma e il pre-giudizio contro le persone in fuga verso l’Europa.

È evidente, per esempio, l’intento di propaganda politica e non certo di riportare la verità quando i massimi rappresentanti istituzionali parlano ad esempio di naufraghi in crociera, Ong al soldo delle mafie dei barconi, aree di guerra “inesistenti”, fantomatici e vaghi complotti di “sostituzione etnica”, ruspe per spianare campi nomadi, rom italiani “purtroppo non espatriabili”, migranti che non viaggerebbero in aereo perché sulle navi umanitarie si godono “la pacchia”. Alle garanzie costituzionali e alla tutela dei diritti umani fondamentali si sostituiscono interpretazioni e costruzioni capziose e strumentali prive di fondamento.

È obbligo civile prima ancora che deontologico del giornalista, contestualizzare affermazioni politiche di simile tenore e gravità in una cornice adeguata, fornendo al lettore chiavi di interpretazione o altri elementi utili a minimizzare i rischi di manipolazione sociale e di deformazione della realtà percepita dall’opinione pubblica. A maggior ragione se la fonte è un ministro che ha prestato giuramento sulla Costituzione repubblicana e se è circondato dal silenzio istituzionale di fronte a parole che si stanno ora tramutando in fatti.

Un’informazione onesta, approfondita e indipendente dovrebbe passare le esternazioni estemporanee al vaglio dei dati di realtà, delle rilevazioni sul campo e delle statistiche ufficiali fornite. Istituzioni nazionali e internazionali come Unar, Istat, Iom, Unhcr tracciano un quadro dell’immigrazione ben diverso dalla retorica dell’invasione e proprio per questo vengono spesso ignorate o relegate ai margini del discorso prevalente.

Il nostro sistema dell’informazione rischia di rendersi complice del disegno di chi abusa della credulità popolare e cerca di estendere via via l’area dell’assuefazione a uno spietato cinismo verbale ora tradotto in azione istituzionale.

La professione giornalistica è normata dalle leggi dello Stato (dunque in prima istanza dalla Costituzione), richiede una specifica abilitazione con iscrizione all’Albo, è regolamentata da una serie di norme deontologiche (fra le quali la Carta di Roma, riguardante l’informazione sui fenomeni migratori).

L’eventuale dissenso relegato nell’angolo dei commenti non basta.

Contrasta con tali norme, e dunque con il pieno esercizio della libertà di informazione in uno stato di diritto, il ridursi a megafono asettico (e talvolta zelante) di politici senza scrupoli lasciati liberi di imporre l’agenda delle priorità e delle supposte emergenze nazionali, di praticare un linguaggio che semina odio, di disinformare sistematicamente i cittadini, di mistificare la realtà agitando azioni istituzionali per nulla risolutive ma a elevato impatto mediatico, utilizzando delle vite umane per primeggiare nel marketing del consenso.

Ci appelliamo all’Ordine dei giornalisti e ai colleghi affinché i rappresentanti istituzionali e quant’altri contribuiscono a questa spirale di violenza si trovino sistematicamente a confrontarsi con un’informazione critica e non asservita, che non si limiti a registrare e ripetere le frasi del giorno, ma al contrario fornisca gli strumenti e le conoscenze necessarie per analizzarle e confutarle quando necessario.

A nessuno dev’essere permesso di ingannare e tradire l’opinione pubblica e dunque la vita democratica.

 

Silvia Berruto
Giuseppe Faso
Lorenzo Guadagnucci
Carlo Gubitosa
Beatrice Montini
Zenone Sovilla

 

Aderisci:
• Come persona
• Come associazione

 

16
Lug
18

Ventimiglia città aperta. manifestazione internazionale secondo alcuni ValdAostani

PGK20

 

Italy, Liguria, Ventimiglia, 14.07.2018

 

Mohamed Ba, fratello e amico, una volta ebbe a dire queste parole che sempre mi danno i brividi:

… io so chi sono e da dove vengo
perché dovrei temere di incontrare l’altro. Mal che vada rimango me stesso
Ma se uno teme di confrontarsi con l’altro                                                                                forse all’appuntamento del dare e del ricevere                                                                           
non ha niente da portare

 

Aosta-Ventimiglia-Europa-Mondo

 

Questo è un viaggio di sola andata.
Verso i diritti per tutti.
Un viaggio senza ritorno.
Verso libertà plurali.

Per il riconoscimento della mobilità come diritto inalienabile e “per rivendicare la necessità di un permesso di soggiorno europeo.
Per ripensare l’attuale sistema della così detta “accoglienza”.
Una mobilitazione contro la tratta e le violenze di genere, contro lo sfruttamento delle persone migranti, per la loro libertà e autodeterminazione.
L’impianto generale e particolare della mania, le motivazioni e gli obiettivi sono declinati nell’appello plurilingue.

Progetto 20 K, l’agitprop della situazione, ha chiamato a raccolta “con l’intento di costruire una mobilitazione collettiva e una giornata di solidarietà nel territorio ventimigliese: per la libertà di movimento, per uscire dall’isolamento mediatico e rivendicare la dignità delle persone in viaggio, per affermare l’umanità e la legittimità delle pratiche solidali, per rompere finalmente con una narrazione improntata prevalentemente su logiche eurocentriche, securitarie e d’emergenza.

Non una mobilitazione per le/i migranti ma una mobilitazione con/e delle persone migranti.

Questi sono alcune delle ragioni e dei valori desunti dall’appello.

Andare a Ventimiglia per che.
Andare a Ventimiglia perché.

E ce n’erano di motivi per andare a Ventimiglia.
Individuali. Ma soprattutto collettivi.
Un collettivo, in movimento, composto da più di 7000 persone che, sotto un sole giaguaro – proprio come tutti i giorni accade ai migranti – hanno sfilato per testimoniare che i diritti sono per tutte e per tutti. A qualsiasi latitudine.

S.B. Jeanne perché vai a Ventimiglia?
Jeanne Cheillon, di valdAosta, è un’attivista che non tradisce il suo spirito collettivo.

J.C. Stiamo andando a Ventimiglia per dire che NOI siamo antirazzisti! e vogliamo un mondo migliore, soprattutto, con la nostra presenza.
Vorrei tornare a casa e raccontare ai miei figli che c’è anche un mondo migliore, diverso da quello che stiamo vedendo tutti i giorni sui giornali e alla televisione, che ci sono anche persone che sono attente agli altri. Soprattutto che vorremmo veramente un mondo senza confini.
Ecco quello che vorrei portare a casa dopo questa giornata.

S.B. Cosa porti a Ventimiglia e cosa pensi di riportare?

J.C. Porto la mia apertura alla diversità e la mia apertura al mondo.
Spero di portare qualcosa da raccontare ai miei bambini diverso da quanto sui sta respirando adesso in Valle d’Aosta e in tutta Italia. I fatti di cronaca ci stanno raccontano duello sdoganamento di violenza gratuita
sulle persone straniere come se tutte le forme represse di violenza e aggressività venissero liberate da una sorta di permesso istituzionale.
Spero di portarmi a casa la sensazione di non essere una piccola minoranza e di non sentirmi così sola con poche altre persone”

SB. Andrea perché vai a Ventimiglia?

Andrea Di Renzo: E’ una piccola cosa che possiamo fare per farci vedere, rispetto a tutto quello che sta succedendo CI sembra importante perché o tra i dibattito si è molto concentrato sui social e questa secondo me è una esperienza importante da fare di persona: per farsi vedere per ritrovarsi, anche da luoghi diversi, per guardarsi in faccia e per dirsi che esistiamo, CI siamo e possiamo fare la differenza.
Senza farci inglobare dalle varie narrazioni che vanno di moda e vanno per la maggiore oggi.
Sono operazioni molto tristi, razziste che vogliono dividere, che vogliono spaventare. Qui sul pullman c’è un bellissimo clima e siamo pronti a passare una giornata portando la nostra presenza per sostenere il messaggio che è proprio il contrario di ciò che dicevamo prima e cioè che siamo tutti esseri umani, che abbiamo voglia di stare vicini e di sostenerci.
Al di là dei confini e al di là delle narrazioni più tristi e spaventose.

SB. Andrea che cosa porti a Ventimiglia e cosa pensi di riportare a casa?
ADR. Quello che porto è proprio la presenza. in contrasto con il fatto che adesso tutto si è spostato sui social … è tutto molto discutibile … uno dice quello che vuole … Invece uno va di persona ed è importante. E’ anche un fatto fisico. SI parla di confini e allora andiamo al confine di persona.
Spero di riportarmi indietro il fatto che non siamo solo noi, che siamo in tanti – spero – e che abbiamo questa possibilità.
Quindi un po’ di coraggio!

S.B. Francesco perché vai a Ventimiglia?
Francesco Lucat. Perché mi pare che, con quello che sta facendo quel p. di Salvini il minimo sia cogliere qualsiasi occasione per far vedere che in questo paese c’è una realtà diversa.
Manifestare pubblicamente il rifiuto non solo per quello che sta facendo Salvini ma quello che sta facendo tutta l’Europa. Adesso abbiamo la triplice alleanza francia austria e germania che evoca scenari terrificanti per chiudere i confini e … è inammissibile. Manifestare contro questa cosa qua è il minimo. E’ il minimo come si dice in gergo.

S.B. Dal punto di vista di un comunista cosa dici tu? Comunisti a Ventimiglia che cosa significa?
F.L. Comunisti a Ventimiglia significa che si comincia a partire sempre. E’ la manifestazione anche di antifascismo direi. Siamo al rifiuto di una logica che è aberrante e che non ci porterà da nessuna parte. Non si poteva non fare. Tenendo ben presente che restano aperti milioni di problemi. Perché … perché che risposta si da’ a tutti i problemi che ci sono?
Francesco apre poi una lunga parentesi su appelli, forme di attivismo e dimensione politica.
Fa l’esempio dell’appello di Libera delle magliette rosse e delle varie critiche che sono state mosse a quell’appello. Anche all’interno di Rifondazione comunista è stato sostenuto che con questa sorta di buonismo non si va da nessuna parte rivendicando la necessità di un’identità di classe precisa.
Un’altra critica è stata rivolta all’ambiguità dell’iniziativa nei confronti dell’adesione di molti del PD, ritenuti responsabili “fino al midollo” delle politiche anti migranti a partire da Turco-Napolitano per arrivare a MInniti.
“Certo che ci sono delle ambiguità. Bisogna saperlo. Però se si sta fuori da queste cose e si fa i duri e i puri secondo me non si va da nessuna parte.
Si sta dentro. Sui discute. Si fanno presenti le cose. Si litigherà, ci si arrabbierà, ci si scontrerà
Si cercherà di andare avanti.
Ed è la debolezza complessiva nostra.

S.B. Cosa porti a Ventimiglia e cosa pensi di riportare a casa?
F.L. Porto a Ventimiglia il mio corpo e la mia bandiera.
S.B. Che bandiera è la tua?
F.L. Bandiera rossa e falce e martello.
Riporto indietro il fatto di andare ad incontrarmi con un sacco di gente con cui bisognerà lavorare in futuro. Vado a Ventimiglia e penso già a domani a cosa dobbiamo fare.

SB. Giulio perché vai a Ventimiglia?
Giulio Gasperini. Si va a Ventimiglia perché è importante esserci. E’ una manifestazione che non riguarda soltanto l’Italia ma riguarda politiche comunitarie sulla questione dell’immigrazione. Quello che si chiederà oggi a Ventimiglia sarà appunto il superamento degli accordi di Dublino e non vincolare una persona al primo paese di ingresso per la sua domanda d’asilo e poi si chiederà un permesso di soggiorno europeo.

SB. Giulio perché ci va? (Come avvenuto per gli altri sollecito in Giulio la dimensione personale.)
“Giulio ci va perché crede che le persone abbiamo il diritto di spostarsi agevolmente. Perché il diritto di spostarsi non può essere dato soltanto da quanto il passaporto di una persona è potente e quindi da quanti accordi abbia un paese con gli altri. Giulio ci va perché ritiene che l’Europa debba costruirsi come una comunità di stati uniti anche sul versante della mobilità umana. Non possiamo presumere che l?europa sia uno spazio comune soltanto economico. Se il progetto dell’Europa deve arrivare a maturazione secondo me deve comprender anche questo aspetto.

SB. Cosa porti a Ventimiglia e cosa pensi di riportare a casa?
GG. Io a Ventimiglia ci porto un po’ anche tutti i volti e le storie delle persone che ho conosciuto in questi anni, con le quali lavoro, che ho incontrato, con le quali ho parlato che raccontano di sofferenze enormi e di una continua non accettazione … e quindi porto anche le istanze di queste persone che sono costantemente in fuga che noi condanniamo vivere sempre sulla soglia, ai limiti della legalità perché sonore nostre leggi che li fanno diventare così, non perché loro vogliano essere così. Anzi, è esattamente il contrario.
Da Ventimiglia spero di portarmi un po’ di fiducia nel fatto che ci siano persone che abbiano lo stesso concetto di Europa che abbiamo noi, la stessa voglia di formare un’europa diversa da quella di adesso.

S.B. Meri perché andare a Ventimiglia?
Meri Serchinic. Vado a Ventimiglia perché è un posto di frontiera. E finché ci sono le frontiere comunque la fratellanza non ci potrà mai essere e ci saranno sempre queste situazioni. chiaramente andando a Ventimiglia non risolvi la situazione in un attimo però si comincia da lì.
Ribadisco il fatto delle frontiere. Ognuno sulla terra deve andare ovunque. Ma questo lo pensavo al di là di questa situazione: l’ho sempre pensato

S.B. Cosa hai portato a Ventimiglia e cosa pensi di riportare a casa?
M.S. Spero un po’ di sensibilità da parte anche di quelli che non hanno partecipato e che ci guardavano dal balcone.
Comunque qualche cosa c’è stata. Hanno potuto osservare. Eravamo in tanti, eh … non avrei immaginato.
Cosa ci riportiamo. CI riportiamo il fatto di aver fatto questa roba qua … ma è più una cosa personale questa cosa qua più che collettiva … non so cosa rispondere adesso.
E’ stato fatto, bene. TANTI GIOVANI: questo è bello. Abbiamo speranze in corso che cambi qualcosa.

S.B. Sauro perché andare a Ventimiglia?
Sauro Salvatorelli. Perché è un modo per ricominciare a contrastare questa deriva razzista e di respingimento nei confronti delle persone che vengono da fuori dall’Europa. Dei diversi. E’assurdo che si fa tutto questo nei confronto di popolazioni che l’Europa è andata a sfruttare e a cui ha depredato qualsiasi bene che loro hanno e non vogliono neanche avere il fastidio di vederseli in casa.
Mi sembrava giusto riandare a Ventimiglia per testimoniare il fatto che non sono d’accordo con tutta questa realtà.

S.B. Cosa porti a Ventimiglia e cosa pensi di riportare a casa?
S.S. Io ho portato la voglia di cambiare qualche cosa. Tanta voglia di ambiare questa cosa.
Riporto indietro in parte il fatto di essermi ritrovato con tante persone. Molti giovani e questo mi fa ben sperare.
“Un po’ di amarezza per quelli di Ventimiglia” che non si sono uniti al corteo, al loro essere contro la mania, a commenti poco belli.
Anche un po’ di contentezza perché tanti giovani e tanta gente bella che ha dei sani principi.

Giacomo di Progetto 20 k mi illustra il progetto.

“Progetto 20k è un progetto nasce tre anni fa sul territorio di Ventimiglia.
Si struttura nel 2016.
E’ partito come lavoro politico, di strada.
Ora abbiamo anche una struttura fisica che è Eufemia che è un infopoint in cui diamo informazioni e sostegno concreto ai migranti. A questo ci si affianca un lavoro più strettamente politico di monitoraggio delle zone calde: la stazione ferroviaria, la frontiera bassa e la frontiera alta; il monitoraggio delle deportazioni dei migranti gli autobus che ripartono verso gli hotspot del sud Italia. Quando c’era il campo informale, sotto il ponte, passare molto tempo lì.
La nostra idea è non un lavoro assistenzialista, non fare beneficenza o carità ma creare condizioni sociali che permettano l’autodeterminazione della persona.

L’idea è di città aperta e di diventare un soggetto collettivo allargato.

Nel frattempo l’idea è stata di “portare l’attenzione sul fatto che la frontiera uccide, lo fa spesso e lo fa ovunque.”

 

Silvia Berruto, giornalista contro il razzismo

 

® Riproduzione riservata

 

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I manifestanti e gli attivisti valdAostani che sono andati a Ventimiglia sono una trentina (la Valle d’Aosta ha una popolazione di circa 100.000 abitanti il corrispettivo di un quartiere di una città come Torino, nda) dopo un viaggio in pullman di sei ore.
“Cittadine e cittadini che per vari motivi, a livello individuale e collettivo, a livello di associazioni, abbiamo voluto portare una testimonianza dalla nostra regione per quanto riguarda questa giornata così importante” ha affermato Jeanne Cheillon.
Le associazioni presenti; ARCI VDA, SCUOLA ITALIANO DOUBLE TE, VALLE VIRTUOSA
circolo LEGAMBIENTE VdA, ATTAC VDA, Consorzio delle cooperative sociali TRAIT D’UNION, ENAIP, AMNESTY VDA, DORA – DONNE IN VDA, ASSOCIAZIONE BAOBAB, ASSOCIAZIONE SPS SOLIDARIETA’ PACE E SVILUPPO, ACLI VDA.

 

Jeanne Cheillon è presidente dell’associazione Valle Virtuosa Valle d’Aosta
Andrea Di Renzo è un rapper. Uno degli organizzatori dell’iniziativa Verso Ventimiglia tenutasi martedì 10 luglio scorso ad Aosta.
Francesco Lucat è un compagno. Non è un uomo sboccato. E’ uno di quei rari antifascisti che l’epigrafe di Piero Calamandrei al camerata Kesserling la recita a memoria. Piangendo.
E un uomo che piange per motivi politici è una rarità di rarità.
Segretario di Rifondazione comunista Valle d’Aosta.                                                                Giulio Gasperini è insegnante di italiano a stranieri. Scrittore.
Meri Serchinic è un’attivista di Valle Virtuosa
Sauro Salvatorelli è medico e attivista di Valle Virtuosa

14
Lug
18

Ventimiglia. Il corteo è partito alle 16. foto realizzate dai manifestanti valdAostani

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14
Lug
18

Aderisco alla manif “Ventimiglia città aperta”. Ma sono per l’abolizione del permesso di soggiorno

 

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molti di NOI non possono esserci fisicamente

ma

 

ADERIAMO ALLA MANIF DI OGGI

 

l’adesione di Monimoni ovadia

Moni Ovadia

 

io sono per l’abolizione del permesso di soggiorno come proposto dalla CARTA DI PALERMO pubblicata il  20 marzo 2015.

 

 

Materiali per pensare.

 

Petizione individuale on line che puo’ essere firmata da qualsiasi cittadino EU.
wearewelcomingeurope.eu

 

Sulla campagna

I governi europei non riescono a far fronte alle sfide poste dalla migrazioni. Cittadini europei di ogni tipo si sono mobilizzati per dare il loro sostegno ai migranti.

Per i nostri leader tuttavia questa solidarietà costituisce un crimine. Oggi in Europa migliaia di cittadini volenterosi rischiano di essere multati o di imprigionati per avere soccorso delle persone che stanno scappando dalla violenza.

Non è questa l’Europa che vogliamo! Queste azioni di solidarietà sono il riflesso di tradizioni europee umanitarie e altruiste, e dovrebbero essere riconosciute come tali!

Per questo motivo abbiamo deciso di lanciare la prima iniziativa dei cittadini europei (ICE) per un’Europa che accoglie. Grazie a questa petizione, possiamo esigere che la Commissione e il Parlamento europeo rispondano alle nostre richieste.

I cittadini di tutta Europa vogliono supportare i rifugiati con programmi di sponsorship e offrire loro una casa sicura e una nuova vita. Vogliamo che la Commissione offra un sostegno diretto a gruppi locali e associazioni che aiutano i rifugiati beneficiari di un visto d’ingresso.

Nessuno dovrebbe essere perseguito o multato per aver offerto aiuto, assistenza o un rifugio a scopo umanitario. Vogliamo che la Commissione fermi quei governi che stanno criminalizzando i volontari.

Ogni individuo deve avere pieno accesso alla giustizia. Vogliamo che la Commissione garantisca procedure e norme più efficaci per difendere tutte le vittime di sfruttamento sul lavoro e delle reti criminali in tutta Europa e tutte le persone che hanno subito violazioni dei diritti umani alle nostre frontiere.

 

Il contesto e la storia di questa iniziativa

Un gran numero di ONG europee facenti parte della società civile, coordinate dal Migration Policy Group tramite la Piattaforma Europea sull”Asilo e le Migrazioni (EPAM), hanno passato quasi due anni a preparare stretegicamente questa Iniziativa Europea dei Cittadini. Una coalizione di oltre 170 organizzazioni della società civile di tutta Europa si é formata al fine di coinvolgere il grande pubblico e trasformare le politiche europee sulle migrazioni.

Today, we, the citizens of Europe, are raising our voices to change the discourse on migration and build a Europe that welcomes those in need and reflects our principles of solidarity, dignity and human rights.

Che cosa vogliamo ottenere?
L’obiettivo é di raccogliere un milione di firme e sostegno pubblico entro febbrario 2019 per poter riformare le priorità delle politiche migratorie europe in vista delle elezioni europee del 2019. Il fucro delle domande sono la private sponsorship, la depenalizzazione dei servizi ai migranti e la difesa delle vittime di sfruttamento lavorativo e di violazioni di diritti umani.

Cos’è un’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE)?
Un’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) è lo strumento più visibile e giuridicamente vincolante per la democrazia diretta in Europa. Se un milione di cittadini europei di almeno sette stati membri firmassero la petizione entro un anno, la Commissione Europea sarebbe obbligata ad ascoltare le richieste dei cittadini tramite un procedimento formale.

 

Ecco il link diretto alla pagina on line da compilare

 

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2_We want welcoming

 

 

IL GIORNALISMO NON SIA AL SERVIZIO DELL’ODIO E DELLA PROPAGANDA

L’appello

 

mentre la manif sta per iniziare …

IMG-20180714-WA0013Verso il punto di partenza, Ventimiglia, ore 15:43,  Photo Sauro Salvatorelli

 

 

by Silvia Berruto, giornalista contro il razzismo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

12
Lug
18

Il giornalismo non sia al servizio dell’odio e della propaganda

Campagna: Il giornalismo non sia al servizio dell’odio e della propaganda
Promossa da: Giornalisti contro il razzismo

A nessuno dev’essere permesso di ingannare e tradire l’opinione pubblica e la vita democratica.

Dieci anni fa  abbiamo lanciato un appello – “I media rispettino il popolo Rom” – e una proposta di autodisciplina del linguaggio – “Mettiamo al bando la parola clandestino” – con il proposito di contribuire a una discussione aperta sul modo di fare informazione in un periodo di campagne politiche sulla sicurezza spesso condotte sul filo dell’emotività e della paura. Da allora molte cose sono cambiate, alcune anche in meglio, ma stanno emergendo nuovi motivi di forte preoccupazione.

Negli ultimi mesi di cronache politiche abbiamo assistito a un’allarmante accelerazione di un processo che da anni indebolisce il diritto dei cittadini a un’informazione onesta, approfondita e indipendente, che serva a migliorare la vita dei cittadini e non a generare paure, odio e tensioni sociali.

In particolare, si registra una diffusa tendenza giornalistica – anche nella stampa cosiddetta indipendente – a riportare acriticamente affermazioni di esponenti politici palesemente menzognere e fuorvianti. Espressioni che utilizzano un lessico costantemente sopra le righe – quando non propriamente rabbioso, violento e istigatore di violenza – per propagandare uno specifico punto di vista e per continuare a rimettere in cima alle priorità italiane una sola questione: lo stigma e il pre-giudizio contro le persone in fuga verso l’Europa.

È evidente, per esempio, l’intento di propaganda politica e non certo di riportare la verità quando i massimi rappresentanti istituzionali parlano ad esempio di naufraghi in crociera, Ong al soldo delle mafie dei barconi, aree di guerra “inesistenti”, fantomatici e vaghi complotti di “sostituzione etnica”, ruspe per spianare campi nomadi, rom italiani “purtroppo non espatriabili”, migranti che non viaggerebbero in aereo perché sulle navi umanitarie si godono “la pacchia”.

Alle garanzie costituzionali e alla tutela dei diritti umani fondamentali si sostituiscono interpretazioni e costruzioni capziose e strumentali prive di fondamento.

È obbligo civile prima ancora che deontologico del giornalista, contestualizzare affermazioni politiche di simile tenore e gravità in una cornice adeguata, fornendo al lettore chiavi di interpretazione o altri elementi utili a minimizzare i rischi di manipolazione sociale e di deformazione della realtà percepita dall’opinione pubblica. A maggior ragione se la fonte è un ministro che ha prestato giuramento sulla Costituzione repubblicana e se è circondato dal silenzio istituzionale di fronte a parole che si stanno ora tramutando in fatti.

Un’informazione onesta, approfondita e indipendente dovrebbe passare le esternazioni estemporanee al vaglio dei dati di realtà, delle rilevazioni sul campo e delle statistiche ufficiali fornite. Istituzioni nazionali e internazionali come Unar, Istat, Iom, Unhcr tracciano un quadro dell’immigrazione ben diverso dalla retorica dell’invasione e proprio per questo vengono spesso ignorate o relegate ai margini del discorso prevalente.

Il nostro sistema dell’informazione rischia di rendersi complice del disegno di chi abusa della credulità popolare e cerca di estendere via via l’area dell’assuefazione a uno spietato cinismo verbale ora tradotto in azione istituzionale.
La professione giornalistica è normata dalle leggi dello Stato (dunque in prima istanza dalla Costituzione), richiede una specifica abilitazione con iscrizione all’Albo, è regolamentata da una serie di norme deontologiche (fra le quali la Carta di Roma, riguardante l’informazione sui fenomeni migratori).

L’eventuale dissenso relegato nell’angolo dei commenti non basta.
Contrasta con tali norme, e dunque con il pieno esercizio della libertà di informazione in uno stato di diritto, il ridursi a megafono asettico (e talvolta zelante) di politici senza scrupoli lasciati liberi di imporre l’agenda delle priorità e delle supposte emergenze nazionali, di praticare un linguaggio che semina odio, di disinformare sistematicamente i cittadini, di mistificare la realtà agitando azioni istituzionali per nulla risolutive ma a elevato impatto mediatico, utilizzando delle vite umane per primeggiare nel marketing del consenso.

Ci appelliamo all’Ordine dei giornalisti e ai colleghi affinché i rappresentanti istituzionali e quant’altri contribuiscono a questa spirale di violenza si trovino sistematicamente a confrontarsi con un’informazione critica e non asservita, che non si limiti a registrare e ripetere le frasi del giorno, ma al contrario fornisca gli strumenti e le conoscenze necessarie per analizzarle e confutarle quando necessario.

A nessuno dev’essere permesso di ingannare e tradire l’opinione pubblica e dunque la vita democratica.

 

Silvia Berruto
Giuseppe Faso
Lorenzo Guadagnucci
Carlo Gubitosa
Beatrice Montini
Zenone Sovilla

 

 

L’appello (da sottoscrivere e da diffondere)

07
Lug
18

Una maglietta rossa … da indossare persempre

 

IO NON ADERISCO, per ragioni di credibilità, … CONDIVIDO.

 

 

“Una maglietta rossa per fermare l’emorragia di umanità'” promossa da don Luigi Ciotti, presidente nazionale Libera e Gruppo Abele, Francesco Viviano, giornalista, Francesca Chiavacci, presidente nazionale Arci, Stefano Ciafani, presidente nazionale Legambiente, Carla Nespolo, presidente nazionale Anpi.

 

 

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by Silvia Berruto, antifascista

 

 

02
Lug
18

COLLETTIVAMENTE MEMORIA 2018 propone un incontro di formazione su “Fotografia come azione nonviolenta”_ 3 luglio 2018_ Dedicato a BeCome Viral e alle studentesse e agli studenti dell’alternanza scuola lavoro di Torino

COLLETTIVAMENTE MEMORIA 2018

Dedicato a Italo Tibaldi e Ida Desandré deportati politici
e a Anna Cisero Dati
Progetto culturale di Silvia Berruto
GIORNALISTI CONTRO IL RAZZISMO
A.N.S.I. Associazione nazionale stampa interculturale
Piemondo Onlus
ALMA TEATRO Torino

 
In omaggio a Ercole Balliana

 

 

realizza
per il Centro studi Sereno Regis di Torino

 

 

un incontro di formazione

dedicato a

 

 

BeCome Viral: mediattivisti contro l’odio online
e alle studentesse e agli studenti dell’alternanza scuola lavoro
dei seguenti istituti scolastici di Torino:

Istituto Superiore Bodoni
Istituto Superiore Majorana
Istituto Superiore Re Umberto

 

 

Fotografia come mezzo creativo di denuncia dell’odio in città

L’impiego della fotografia come azione nonviolenta

 

 

Conduzione maieutica a cura di Silvia Berruto
photoreporter e giornalista freelance

Amica e persuasa della nonviolenza

 

 

 

martedì 3 luglio 2018
ore 14-18
centro studi Sereno Regis
Sala Gandhi




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